Mi risveglio da un sonno eterno. La cappella è buia e disadorna. Flebili reminiscenze, sono un Senzaluce, un abitante dell’Interregno, esiliato un tempo ormai lontano per aver perduto la benedizione della Grazia. Mi ritrovo qui, ora, richiamato in vita da una volontà superiore; altro non mi è concesso sapere.
Filtrano deboli raggi di luce dal tetto fatiscente della struttura, illuminano alle mie spalle una statua greve e solenne. C’è un silenzio spettrale, malinconia e inquietudine si intrecciano e mi pervadono; ai miei piedi si srotola un tappeto rosso che conduce ad un portone massiccio. Sembra chiuso. Osservo meglio all’interno, c’è un cadavere alla mia destra, una sacerdotessa; tra le sue mani recupero delle dita avvizzite. Non so che farmene ma le prendo comunque, sono certo che mi torneranno utili.
Mi avvicino al portone e lo spingo a piene mani. Si spalanca, aprendo innanzi a me un cortile di pietre sconnesse ed erbacce. La Cappella dell’Attesa, conosco il nome del luogo del mio risveglio; un imponente struttura in pietra grigia che si erge sulla cima di una rupe a picco sul mare. Non ho tempo di chiedermi come sia arrivato qui, la mia attenzione è rivolta altrove: una breve scalinata in pietra malridotta si para innanzi a me e mi accompagna ad un baratro. Non è la paura che mi assale, quanto la silenziosa maestosità che si staglia oltre esso: un imponente castello, se ne scorge indistinto il profilo oltre un leggero velo di foschia, le sue guglie altissime si ergono sullo sfondo di un grigio cielo.
Ma c’è dell’altro a catturare il mio sguardo: un qualcosa che avevo già intravisto all’uscita della cappella e ora lì, sul quel baratro, domina prepotentemente la scena, come se non ci fosse altro all’infuori di esso. Un luminoso albero, maestoso, magnifico con le sue fronde e rami dorati. Un tronco imponente, anch’esso etereo e splendente, lo fa svettare sopra questa landa a me ancora sconosciuta; non è chiaro dove abbia inizio, ma la sua aurea permea e inonda tutte le cose visibili e invisibili. C’è chiaramente una volontà superiore, un che di indefinito che non riesco ancora a comprendere seppure sia lì, immobile e palese innanzi a me. Fasci di luce dorata irradiano grazia in tutte le direzioni. Sono pietrificato, un misto di speranza e terrore, qualcosa di indescrivibile; il mio sguardo si perde di fronte a uno spettacolo mai visto prima.
Il baratro non è la fine ma l’inizio: una scala di legno ancorata sulla parete rocciosa conduce ad uno spiazzo inferiore, e da qui verso un ponte sospeso. Lo attraverso con passo incerto, sono ancora disorientato tra lo stupore della vista e l’ansia di ciò che mi attende oltre.
Sono un cavaliere errante, temprato dal tempo e da battaglie di cui non ho più memoria, so bene che c’è solo una cosa ad attendermi oltre il solenne portale di fronte a me: la morte. Altre statue, figure ammantate impugnano spade rivolte verso il basso, il silenzio è greve, interrotto solo dal rumore del vento che sferza i rami avvizziti di antichi alberi che hanno visto troppi inverni. Supero l’arco di pietra e sono in uno spiazzo ancora più grande, dominato al centro da una statuta, la più imponente di tutte. Una figura femminile, forse una dea, con il capo chino e le braccia allargate; incute rispetto e riverenza, ma anche fiducia. Ha qualcosa che la avvolge fin sopra la testa, non riesco a comprendere fino in fondo la scultura, forse un simbolo a me ignoto.
Solo adesso mi accorgo dei pollini dorati che fluttuano intorno a me, l’aria ne è intrisa. Petali, forse foglie, danzano in silenzio ma non vi è traccia alcuna a terra. La quiete surreale viene bruscamente interrotta: un orrore con molteplici arti innestati balza fuori da non so dove e mi si para innanzi, minaccioso e immobile tra me e la divinità di pietra. Letale. Brandisce una spada e uno scudo, riesco a scorgerne il volto: un viso cereo, esangue, privo di ogni emozione. Mi si scaraventa contro.
Solo morte. La stavo aspettando.
Ripiombo nel sonno eterno ma dura poco, mi risveglio in una grotta buia e umida; una fanciulla incappucciata, in groppa ad un destriero, si avvicina cauta. Pare quasi mi stesse attendendo. Sono esanime, ma la sento comunque sussurrare qualcosa, parole che non comprendo…“la sorte è con lui”, …”anello ancestrale”, …”ordine aureo”…
Parole senza significato, ma portano con sé uno scopo, la ragione per cui sono ancora qui. Sento la vita scorrere in me, di nuovo. Non è la fine, non sono stato richiamato dalla morte per morire ancora. Non è una grotta, bensì un santuario, l’inizio del mio viaggio. Mi rialzo, la strada è tracciata innanzi a me.
Non è la fine, è solo l’inizio …
