Il delirio di Riverdale

Dunque, vediamo: quali sono i cliché più comuni delle serie TV americane?

Innanzitutto, la giusta location che fa da sfondo all’intera vicenda: in genere, si opta per una piccola e tranquilla cittadina, perfetta ma solo all’apparenza, spesso con un sottobosco fitto di misteri e oscuri segreti. Ovviamente non può mancare una bella High School, quella in cui tutti noi avremmo voluto passare gli anni delle superiori, ricca di attività extracurricolari, con l’immancabile squadra di football piena di bellocci supportata da altrettanto attraenti e provocanti cheerleaders, tutti in piena esplosione ormonale.

Di certo un locale iconico, stile anni ’50 con un nome tipo Pop’s, con l’immancabile insegna al neon e annesso proprietario/peluche, dove sorseggiare un buon milkshake dopo la scuola; un gruppo di protagonisti simpatici e ben assortiti, in termini etnici, di estrazione sociale e di orientamento sessuale – tranquilli perché, restando in tema di cliché e stereotipi, Riverdale non ci farà mancare davvero nulla! Direi che come base di partenza ci siamo.

Poi cos’altro? Si ovvio, una serie di misteri da risolvere, dal suicidio-che-diventa-omicidio di un compagno di scuola subito al pronti-via della prima stagione, al misterioso serial-killer della seconda, magari uno con un soprannome bizzarro tipo Black Hood o che so io, che semina terrore tra i banchi di scuola, così i nostri eroi – mica la polizia – possono indagare e svelare le inquietanti e, di solito, surreali motivazioni che lo spingono a perpetrare i suoi efferati delitti.

Forse una gang, ma si, mettiamoci anche una gang, meglio se una banda di riders con un tatuaggio distintivo e giubbotto di pelle, tanto per enfatizzare ancora meglio che siamo in una serie made in USA; un bel gioco di ruolo da tavolo stile medievale alla Dungeons & Dragons o, se preferite, Gryphons & Gargoyles, giusto per celebrare la fantasia dei produttori; un momento…ma cosa c’entra un Gioco di Ruolo in tutto questo? Ma sì dai, chi se ne importa, mettiamocelo che è figo e ci giocano tutti.

Cosa manca? Ad occhio e croce, direi una setta invasata da una qualche forma di cattolicesimo deviato – ebbene si, c’è anche questa – , una famiglia gotico-folle-rosso vestita dedita alla produzione dello sciroppo d’acero nella sua tetra magione, in effetti sembra quasi uscita da Twilight; ovviamente l’FBI che infiltra improbabili agenti in incognito per svelare misteriose attività illecite che di fatto conosce pure il bidello della scuola; un boss, in stile Don Vito Corleone del terzo millennio, super palestrato-figo-schifosamente ricco e, ovviamente, cattivissimo – ma non così tanto in fondo, dai… – con la sua innocente e attraente figlia che, dall’alto della sua incorruttibile moralità, per distaccarsi dalle losche pratiche del padre decide di gestire un club privato in pieno stile noir con musica dal vivo, cocktail per minorenni e, perché no, qualche serata dedicata al gioco d’azzardo – ovviamente – non legalizzato.

Ecco che la ricetta della super serie americana full-cliché è servita. Ah no, in realtà mancherebbero ancora un bordello nascosto in bella vista, qualche incontro truccato di pugilato, una puntata a tema Halloween con tutti i luoghi comuni del genere che vi possano venire in mente, intervallata magari ad una in stile musical e poi ancora…anzi no, non mi dilungherò oltre tanto ormai lo avrete capito…c’è di tutto, e anche di più, in Riverdale.

Diventata una serie cult in breve tempo, Riverdale racconta le storie di quattro amici sullo sfondo di una cittadina fittizia americana, che da il nome alla serie, solo all’apparenza perfetta, con nuovi e inquietanti misteri da risolvere stagione dopo stagione che fanno da filo conduttore ad una trama principale che si intreccia indissolubilmente con le vicende personali dei nostri protagonisti, le quali spesso fungono proprio da elemento risolutore degli eventi. Questo è Riverdale, almeno a prima vista e senza scalfire troppo la superficie, perché in realtà c’è molto di più sotto il variopinto velo intessuto dagli sceneggiatori.

Riverdale è un colorato e delirante affresco sulla cultura pop americana dei nostri giorni; per quanto esasperata, senza senso, assurda e piena di cliché possa sembrare, e in realtà sia, Riverdale è una serie che riesce a catturare e stupire – in positivo e a volte in negativo – lo spettatore. Questo a prima vista scellerato mix di teen mystery-dark-gotico-musical-noir-gdr messo in piedi dai suoi creatori riesce a regalare l’esatto intrattenimento per il quale è stato concepito, ovvero quel “di tutto un pò” leggero e spensierato con i suoi momenti da ricordare. C’è un pò di tutto in Riverdale, una città piena di stereotipi ma anche tanta autoironia, temi seri trattati quasi sempre con quella leggerezza tipica e propria dei teen drama; tutto sembra sempre un qualcosa di già visto, eppure tutto è nuovo o raccontato con sfumature diverse; un episodio assurdo termina e ne inizia un altro ancora più fuori di testa, come in un ottovolante fuori controllo e si finisce per divorare una puntata dopo l’altra.

Perché si, al netto di tutto il delirio che vivremo a Riverdale, è onestà intellettuale riconoscerne i pregi. Innanzitutto, va dato merito al cast e ai suoi quattro protagonisti principali.

Partendo dal bello di turno, ArchieAndrews, o “Archie-bello” per le amiche, o se volete il “rosso paladino” per i giocatori di G&G, uno splendido KJ Apa nell’interpretazione e nella presenza scenica; il bravo ragazzo cresciuto tra scuola e cantiere con l’amorevole padre appaltatore (l’indimenticato Luke Perry), leader della squadra di football, cantautore e oggetto dei desideri femminili di mezza scuola, sempre pronto a difendere i più deboli e a sacrificarsi per i suoi amici. È innegabile che molta della fortuna ottenuta dalla serie sia merito suo, e dei suoi addominali.

Restando in tema di cliché, ecco la classica ragazza della porta accanto, la bionda, intelligente e tormentata ElizabethBettyCooper (Lily Reinhart).

Diciamo solo che la nostra povera Betty dovrà fare i conti con una famiglia piuttosto “problematica, e con un lato oscuro che emergerà poco a poco nel corso delle stagioni, così come la sua inclinazione innata alle indagini e alla risoluzione dei principali misteri di Riverdale. Un personaggio bello, intrigante, acuto e profondo, non manca davvero nulla alla biondina amata da tutti (o quasi).

E non manca di certo la facoltosa ragazza di città, direttamente da New York City la solo all’apparenza snob Veronica Lodge (Camila Mendes); un cognome ingombrante, il fardello di essere la figlia di Hiram Lodge (Mark Consuelos) uno degli uomini più ricchi e spietati della città, la nostra Ronnie sarà spesso divisa tra il suo Archie e gli “affari di famiglia”, non solo lato paterno ma anche materno, quello dell’incantevole Hermione (Marisol Nichols) in un continuo scambio di colpi bassi e vendette attinte a piene mani dai classici del genere mafioso, qui trattate con la giusta leggerezza e autoironia. Un personaggio che parte in sordina, ma emerge con forza nel corso degli episodi, tanto da prendersi spesso da sola letteralmente la scena.

Per giungere all’eroe solitario Jughead Jones o, semplicemente, JJ (Cole Sprouse) probabilmente, al netto di tutto – e di “Archie-bello” – il vero anello di congiunzione della serie, nonché narratore in terza persona di tutti gli eventi di Riverdale. Cresciuto assieme al padre F.P. Jones (Skeet Ulrich) tra le fila dei Serpents, la gang di motociclisti di Riverdale, non ha mai rinunciato alla sua passione per la scrittura ed è proprio attraverso le sue parole, dal suo punto di vista, che vivremo gran parte delle storie raccontate in Riverdale. Senza dubbio, uno dei personaggi più interessanti e meglio caratterizzati della serie.

Sono loro, i nostri quattro eroi, a reggere il “peso” del racconto – o delle deliranti storie raccontate, se preferite – risultando sempre sul pezzo, bravissimi a recitare e ancor di più a cantare quando chiamati in causa; per inteso, ci sono alcune puntate in stile musical nell’arco delle stagioni che sono davvero ben dirette e coreografate, squisitamente godibili, a patto ovviamente di non provare totale repulsione per il genere.

E la formula, al netto di qualche inciampo o buco di trama, e di qualche soluzione liquidata un pò troppo frettolosamente, funziona discretamente bene. Diciamocelo pure, in fondo è impossibile non empatizzare con “Archie-bello” o con Betty, personaggi tanto buoni quanto “sfortunati” nelle loro vicissitudini familiari e non, sempre pronti a fare la cosa giusta ma loro malgrado spesso costretti a fare i conti con il proprio lato oscuro.

Non mancano di certo altre caratterizzazioni interessanti, ogni personaggio ha una propria parabola di crescita-declino e rinascita, come quella di F.P. Jones, il padre di JJ, vero esempio di uomo della strada che riesce a farsi da solo e prendersi una posizione di rispetto.

Ok, siamo a celebrare la rappresentazione dell’ennesimo, stra-abusato, cliché americano; ma in fondo va bene così, ci sono cose che Riverdale fa bene e va apprezzato anche per questo.

E spezziamo pure una lancia in favore di Cheryl Blossom (Madelaine Petsch) capo cheerleader e ultima discendente della stirpe dei Blossom – i rossi di Riverdale – in un’interpretazione talmente riuscita da rendere il suo personaggio uno dei più iconici ed irriverenti della serie, capace solo lei sa come di suscitare inquietudine e seduzione nell’arco della stessa scena.

Ma c’è di più, c’è anche spazio per l’ultimo saluto ad uno dei simboli della mia – nostra – generazione; perché la puntata-commiato dedicata a Luke Perry (Fred Andrews nella serie, il padre di Archie) è senza dubbio uno dei momenti più intimi e toccanti della serie, il cast per una volta non ha dovuto recitare affatto, il dolore per la perdita era così tangibile da infrangere la quarta parete; e, concedetemi lo spoiler, che bello rivedere Shannen Doherty (alias Brenda di Beverly Hills) partecipare all’episodio commemorativo di quello che è stato il suo grande amore nella ricordata e indimenticata serie anni ’90.

Succedono cose strane a Riverdale, una puntata sembra catapultarci in Tredici, quella seguente in Le Terrificanti Avventure di Sabrina, a tratti pensiamo di essere tra i banchi di scuola di Élite o Dawson’s Creek per poi ritrovarci improvvisamente in Stranger Things o in chissà quale altra serie vi possa venir in mente durante la visione. E come non citare il padre di tutti i teen mystery moderni, ovvero Scream il film cult anni ’90 di Wes Craven, che ha ispirato fortemente tutte le serie adolescenziali con sfumature che vanno dal thriller all’horror slasher, e influenza in maniera tangibile il rimo e le atmosfere della serie. Riverdale attinge dovunque, ma lo fa ragionevolmente bene, celebrando il citazionismo a livelli quasi tarantiniani: non manca episodio in cui non vengano richiamati almeno un paio di film-serie TV-personaggi iconici del cinema, e non di rado ci capiterà di assistere a intere scene che “scimmiottano” le loro celebri controparti cult, che sia un Pulp Fiction piuttosto che un Rocky. Insomma è quasi tutto un déjà vu, superficialmente almeno, perché per quanto spensierato e a tratti quasi ridicolo, il tutto finisce sempre per funzionare maledettamente bene e a tenere incollato lo spettatore ancora per una una puntata, per la serie: “ma dai, è troppo assurdo, l’ultima puntata e poi smetto”. E la verità è che non si smette più.

Penso di aver detto tutto, e non aver spoilerato “quasi” nulla; anzi, in verità ancora un paio di cose vanno dette. La prima, una curiosità: Riverdale non è una serie originale, bensì è ispirata ai fumetti dell’editore Archie Comics che ha tra i protagonisti proprio tutti i personaggi della serie; e non è del tutto male come referenza. La seconda, un consiglio: fatevi un favore e guardate la serie in lingua originale, risulterà decisamente più appagante in termini immersivi e non vi troverete in imbarazzo durante le scene in cui si passa dal recitato al cantato; tra l’altro, le interpretazioni del cast sono decisamente sopra lo standard.

Pur non essendo propriamente il mio genere, e nonostante abbia più volte paventato l’idea di abbandonarla, in realtà continuo tuttora a seguirla – le ultime puntate della quinta stagione in Italia usciranno in estate, e poi chissà cosa – e in fondo sì, devo ammetterlo, tutto sommato mi sta divertendo. Il mio consiglio è semplice: guardatela. Se non avete niente di meglio da fare, o se dopo questo lungo e interminabile anno di restrizioni avete praticamente completato il catalogo Netflix. Guardatela, a cuor leggero, spensierati e senza grandi aspettative, ma guardatela. In fondo basta non prenderla troppo sul serio, Riverdale è solo un grande e colorato delirio, ma tutto sommato ne vale la pena.

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