La sospensione dell’incredulità 2.0

Alle volte, una storia raccontata è solo una storia raccontata.

È da un pò che non scrivo – almeno da queste parti – per cui mi perdonerete se ricomincio da un argomento almeno all’apparenza poco interessante.

Il fatto è che ci tenevo, nel mio piccolo, a dire la mia su un certo disagio social che da qualche tempo a questa parte sta dilagando e investendo pressoché ogni prodotto di intrattenimento audiovisivo, cinematografico o videoludico che sia.

E non sto parlando dei titoli volutamente provocatori, o che si avventurano palesemente oltre i confini del politicamente corretto; sto parlando di TUTTO.

È tutta una polemica. Che sia sui contenuti, sulla trama, sul casting, sul finale. Ogni opera, anche la più forzatamente inclusiva, è oggetto di critiche da parte dell’utenza. Siamo purtroppo giunti a quel punto di non ritorno nel quale i produttori più che concentrarsi sul realizzare contenuti originali e di qualità si preoccupano, e non poco, di accontentare tutte le minoranze e categorie di possibili fruitori, per evitare di sollevare polveroni e vedere il duro lavoro di una vita sbeffeggiato e mortificato da leoni da tastiera sempre pronti a scovare la polemica anche laddove non esiste.

E purtroppo, questi leoni si sono riprodotti a ritmo esponenziale.

Da piccolo, avrei pagato l’oro che non avevo per poter vivere in un mondo traboccante di contenuti di intrattenimento come lo è quello odierno. Con tutto quel tempo libero poi!

Eravamo agli albori dell’era digitale, ancora le notizie dovevamo leggerle sulle riviste e la sera si guardava quello che veniva trasmesso in TV. C’era X-Files su Italia 1 il sabato sera? Bene, si guardava quello. L’alternativa era il Bagaglino. L’uscita di un videogioco non veniva pubblicizzata sulle principali reti televisive come accade con un God of War; ci toccava leggerla su TGM (The Games Machines), un piccolo articolo, magari un paio di immagini di gameplay. Nulla in confronto ad oggi. Eppure avevamo tutto quello che serviva. Non esisteva lamentarsi, quello che usciva era oro colato, una benedizione.

Oggi assistiamo ad un alluvione di contenuti. Un fiume in piena, è impossibile avere la reale percezione di tutto quello che abbiamo a portata di mano. Piattaforme streaming stracolme di serie, film, documentari, store digitali pieni di videogiochi, da giocare ovunque, sul divano piuttosto che sul tram.

Sono convinto che se anche avessi tutta la giornata a disposizione, non riuscirei comunque a vedere e giocare a tutto quello che c’è sul mercato. E poi, se anche quel tempo lo avessi, non mi sognerei mai di farlo. Ho i miei gusti, scelgo con cura come dedicare il mio tempo libero. Non sono proprio il tipo da abbuffate, da binge-watching tanto per intenderci, solo per poi correre a vomitare le mie opinioni in rete. Per stare sempre sul pezzo, aggiornato sulla serie del momento.

Eppure, evidentemente, c’è chi lo fa. E tra questi, i paladini del politically correct sono sempre all’erta, pronti a stroncare ogni contenuto al minimo segnale di non inclusività globale, a mediocrizzare qualsiasi prodotto provi solo ad accennare un messaggio che non sia buonista a tutto tondo.

E stanno sempre sul pezzo. Guardano tutto, giocano a tutto, commentano tutto. E denigrano tutto.

Viviamo ormai in una quotidianità nella quale se un cast di protagonisti non è perfettamente multietnico – anche laddove non ha alcun senso – si storce il naso. E se provi a cavalcare animali in un videogioco, sei una brutta persona. Ogni messaggio potenzialmente lesivo nei confronti di qualcosa o qualcuno rende l’opera in oggetto non meritevole di essere presa in considerazione e l’autore una persona retrograda e ottusa, sulla quale riversare insulti o peggio.

Non so dove davvero dove stiamo andando, ma la via intrapresa non mi piace per nulla.

A questo punto, probabilmente, vi starete chiedendo cosa c’entra il titolo dell’articolo. Poco, in effetti. Concedetemi tuttavia un breve spunto di riflessione.

La sospensione dell’incredulità – cito testualmente Wikipedia“è un particolare carattere semiotico che consiste nella volontà, da parte del lettore o dello spettatore, di accettare che nelle opere di fantasia sia possibile ciò che non si riuscirebbe normalmente a fare.”

È, di fatto, il fondamento necessario per la fruizione di ogni storia. Una sorta di patto tra l’autore e l’utente con il quale quest’ultimo accetta di credere alla storia raccontata, pur sapendo che non è reale.

La parola più importante della descrizione è senza dubbio la volontà. È la volontà del fruitore del contenuto che fa tutta la differenza del mondo: accettare che la cosa che sto guardando è possibile, pur sapendo che non lo sia. Ed è possibile perché sto godendo di un contenuto di intrattenimento che ho scelto consapevolmente di guardare o giocare. Perché mi piace quel contenuto. E mi piace pensare che da qualche parte anche l’impossibile sia possibile.

Ma la volontà di accettare l’inganno va di pari passo con l’intelligenza di comprendere che l’inganno è parte del racconto. E, come tale, lì si ferma. Qui sta l’altra grande presa di coscienza.

L’intelligenza è il secondo pilastro fondante nella fruizione di un contenuto d’intrattenimento. È l’intelligenza dello spettatore (o del videogiocatore) a riportarlo dal lato giusto della parete. La quarta parete, il “muro immaginario” che ci separa dallo spettacolo al qual stiamo assistendo, che ci ricorda la distinzione tra cosa è reale e cosa non lo sia.

A questo punto, estendiamo il concetto di sospensione dell’incredulità ad ogni tipo racconto. Non soltanto ai alle opere di fantasia, mondi con regole proprie che vanno accettate. Estendiamo il concetto di sospensione ad ogni tipo narrazione, anche a quelle calate nella realtà quotidiana, storie che sembrano reali ma non lo sono, al più ispirate a fatti reali ma reinterpretate dal punto di vista personale dell’autore.

Ogni prodotto d’intrattenimento audiovisivo – al netto dei documentari e delle produzioni con su scritto “tratto da una storia vera”, dove spesso avrei qualcosa da ridire… – ci racconta una storia inventata. Questo vuol dire che qualcuno, da qualche parte, si è preso la briga di lasciarsi ispirare e di riversare la sua idea in un racconto. Con elementi più o meno realistici, ma pur sempre frutto della fantasia, di una reinterpretazione personale. Quella che ne viene fuori può piacerci o meno, può essere violenta o con gli angoli smussati, può farsi piacere da tutti o discriminare qualcuno. Ma resta pur sempre una storia.

La volontà di accettare gli elementi e le regole della storia, unita all’intelligenza di discernere la storia dalla realtà sono passi fondamentali, ma evidentemente difficili da compiere al giorno d’oggi. Ed ecco quindi che ogni prodotto d’intrattenimento diventa motivo di litigio, di accuse, di polemica. Si cerca sempre la discriminazione, si polemizza sulla scrittura, non si accettano i finali o il punto di vista dell’autore. Vittime e carnefici, ovunque.

Ci si arroga il diritto, quali spettatori paganti, di criticare le opere e i suoi creatori. Si arriva a firmare petizioni per boicottare un’opera, addirittura cancellarla. E qui voglio essere proprio chiaro: questo diritto noi utenti non ce lo abbiamo.

Paghiamo per i contenuti, è vero, ma questo non ci da il diritto di distruggere la passione che il creatore ha riversato sulla sua opera, solo perché non tratta una tematica come piace a me. Basta cercare sempre i colpevoli e le vittime delle storie nel mondo reale. E se anche l’idea di base di un racconto è agli antipodi del nostro pensiero, è nostro dovere comunque rispettarla. Guai a criticare una storia solo perché nel mondo della storia non sono tutti buoni e felici, o viceversa. È così che è nata, è così che l’ha pensata il suo autore ed è così che va fruita. Nel bene e nel male.

Non avremo un mondo migliore solo perché in TV scorrono arcobaleni. Senza la volontà e l’intelligenza di chi li osserva anche gli arcobaleni possono essere confusi.

La libertà creativa va difesa, sempre, e l’opinione di un contenuto d’intrattenimento, cinematografico seriale o videoludico che sia, non fa eccezione.

Diamoci una calmata, per cortesia. E torniamo a stupirci come un tempo.

Perché alle volte, una storia raccontata è solo una storia raccontata.