“There may be no answers, but one must still forge ahead”
Così recita silenziosa la descrizione della Chiave dei Sotterranei del Rifugio dei Non Morti Settentrionale. Sono passati oramai più di dieci anni da quel lontano 2011, quando il primo Dark Souls venne rilasciato, cambiando per sempre le regole del mondo videoludico. Ricordo indistintamente ancora oggi quella sensazione di smarrimento avviato per la prima volta il gioco, catapultato in una situazione quantomeno indecifrabile. Il personaggio che avevo creato minuziosamente qualche minuto prima era rinchiuso in una prigione poiché, come si apprendeva da una voce fuori campo, portatore del Segno Oscuro, un marchio che maledice i Non Morti. Da una grossa apertura del soffitto ecco affacciarsi un cavaliere ignoto e lanciare all’interno della mia cella un cadavere; quest’ultimo portava con sé un oggetto che avevo la possibilità di raccogliere: la chiave che mi avrebbe permesso di uscire di lì. Ovviamente iniziai a chiedermi chi fosse quel cavaliere, perché stesse cercando di aiutarmi, cosa diamine facessi lì, rinchiuso in una cella buia e fredda; domande sul come e sul perché, sul mondo che mi circondava, domande senza risposta. Mi apprestai a raccogliere la chiave e ne lessi la descrizione, il gioco aveva previsto il senso di spaesamento in cui mi aveva gettato e mi rincuorava dicendomi: «Anche senza risposte, bisogna comunque proseguire».
Con questa introduzione, volutamente criptica, ha inizio la trilogia di Dark Souls, la celebre saga dark fantasy ideata da Hidetaka Miyazaki e sviluppata da From Software. Con questa introduzione, di fatto, inizia un nuovo modo di creare videogiochi. Viene abbandonata la struttura classica in favore di una narrazione atipica, quasi insufficiente ad una prima occhiata; non più cutscene in computer grafica e i dialoghi, laddove presenti, lasciano più dubbi che certezze. Addio pure alla linearità nelle ambientazioni proposte; il giocatore, dopo un breve tutorial, viene abbandonato a sé stesso in un mondo ostile, oscuro e pieno di enigmi. Ma anche di risposte, celate alla vista ma alla portata di tutti coloro decidano di abbandonarsi completamente ad esso.
I primi passi in Dark Souls sono la manifesta enunciazione poetica che sta alla base del lavoro di Miyazaki: il giocatore non sa né dove né quando si trova esattamente, l’unica vera fonte diretta di informazioni che l’autore concede al gamer è il criptico filmato iniziale. Muoviamo i primi passi in una cella tetra e angusta, la porta è chiusa; domande senza risposta, enigmi nell’oscurità. Qual’è il nostro obiettivo? Anche senza risposte, bisogna comunque proseguire.
La descrizione unica, a prescindere dell’utilità, associata ad ogni singolo oggetto raccoglibile, è la prima vera chiave di interpretazione del mondo creato dell’autore, il suo tratto distintivo. È l’insieme delle descrizioni, disseminate ovunque in un mondo altrimenti silenzioso, che ci consegnano le informazioni necessarie, tasselli informi di un mosaico ancora sconosciuto che costituiscono la lore dell’opera.

Ma che cos’è dunque la lore? È fondamentale chiarire da subito la distinzione fra storia e lore, poiché qui si gioca un ruolo fondamentale nella comprensione della narrativa miyazakiana. Partiamo col dire che non c’è una vera e propria traduzione in italiano; si potrebbe interpretare come “tradizione” o “conoscenza”, ma entrambi non restituiscono comunque il significato compiuto del termine, la sua profondità all’interno del contesto di gioco. Lore è un termine che deriva da folklore, e riassume una narrativa basata sulla scoperta attiva del giocatore, il quale individua i diversi elementi che vanno a raccontare l’ambientazione. Questo è possibile generalmente attraverso i dialoghi con gli NPC – non-playable characters – i documenti di testo sparsi per la mappa, nella descrizione di oggetti e armamenti, in tutto quello che possiamo cogliere attraverso un’osservazione attenta e indagatrice dell’ambiente circostante. È una presa di posizione narrativa che rifiuta l’idea di una linearità nel racconto e che lascia spazio a un ambiente con una storia, la quale può essere svelata o meno. La scelta spetta unicamente al giocatore.
In un prodotto videoludico, la lore può avere più o meno rilevanza nell’economia generale; anzi, alcune opere possono essere godute anche senza il minino approfondimento, privilegiando una fruizione rilassata e lontano da frustrazioni. Nei primi anni duemila si è assistito ad una svolta narrativa che ha lasciato da parte la ricerca della sfida, pur con eccezioni di livello (basti pensare alla saga iniziale di God of War). L’eccezionale sviluppo tecnologico del medium, sempre più vicino al fotorealismo, orientò i più blasonati titoli usciti in quei anni verso una narrazione estremamente cinematografica, puntando molto sull’estetica e su gameplay poco punitivi, tali da non appesantire la fruizione del racconto con snervanti e continui Game Over.
“YOU DIED”
Per comprendere appieno il successo della saga di Dark Souls, occorre fare un passo indietro, laddove tutto è iniziato. Il punto di rottura in ambito videoludico si ebbe nel 2009, con l’uscita di Demon’s Souls, action RPG dalla notevole difficoltà per gli standard attuali. Il progetto sembrava inizialmente destinato al fallimento, fino a quando non venne affidato ad un giovane e talentuoso Miyazaki; in esso l’autore riversò la sua poetica, un potenziale narrativo che che sarebbe poi definitivamente esploso in tutta la sua forza nelle opere successive. Il titolo, uscito in Europa un anno dopo, quasi a sorpresa creò attorno a sé quasi un culto, un’esperienza così punitiva da regalare all’utenza, al superamento degli ostacoli, soddisfazioni ormai dimenticate. La canonizzazione degli stili tipici dell’autore arrivò con il primo Dark Souls, l’abbandono della formula a livelli in favore di una mappa unica, interconnessa, destinata a rivoluzionare il game design: si avanza, sconfiggendo nemici, fino al falò successivo, si sblocca una scorciatoia e si arriva all’arena del boss; si muore, e si riparte dall’ultimo falò, in un mondo in cui la morte non è mai definitiva. Una rivoluzione in termini di game design e, con essa, esaltazione massima del concetto di lore.
Un Souls non si identifica soltanto con un livello di difficoltà proibitivo, ma anche e soprattutto con una forma di narrazione ermetica, l’espressione massima dello “show, don’t tell“, il saper raccontare l’ambientazione non solo tramite le descrizioni ma anche sfruttando la costruzione dell’ambiente, lavorando sul suo design. Questo metodo era già percepibile in Demon’s Souls e venne affinato in maniera decisa con Dark Souls, per raggiungere il suo apice in Dark Souls III. La grande rivoluzione portata da Lordran è stata quella di mettere in scena un mondo in cui ogni singolo dettaglio nasconde un perché: un edificio crollato non è realizzato in quel modo solo per creare atmosfera ma esiste un perché e un come; una statua o un bassorilievo posto su un muro hanno un significato; un oggetto raccolto ha sempre un motivo per essere rinvenuto in quel preciso punto e il design di un nemico non è solo basato sull’estetica e sul moveset ma racconta anche esso una storia. Il giocatore, di fronte ad un Souls, è portato a porsi sempre le stesse domande: perché, come, dove, quando, chi? La trilogia di Dark Souls è un’infinita fonte di domande, un grande gioco ad incastro in cui i pezzi sono parte di un puzzle del quale manca la scatola raffigurante l’immagine finale.

Ed é proprio qui che si chiede al gamer quel qualcosa in più. Ogni Souls può essere affrontato in maniera lineare e puramente ludica, forzando il level design con l’unico obiettivo di progredire nel mondo gioco e raggiungere i titoli di coda. Nulla lo vieta anzi, è sicuramente intesa come possibilità dagli sviluppatori; si affrontano boss-fight memorabili e tecnicamente impeccabili, in cui si richiede al giocatore tutta l’abilità e il sangue freddo di cui dispone, l’espressione massima dell’esperienza videoludica. Tuttavia, così facendo si perde gran parte dell’esperienza offerta da Miyazaki e dal team di From Software, esperienza che può essere vissuta unicamente “mettendosi in gioco“; se il giocatore accetta di abbandonarsi totalmente all’opera e sottostare alle sue regole, inizia a porsi domande, esplorare e innamorarsi della scoperta; solo allora diventa padrone del suo agire tramite quanto visto e compreso. La presunta incomunicabilità dell’opera svanisce e le ermetiche porte della lore si schiudono ai suoi occhi, in tutta la sua maestosa e, sino a quel momento, celata bellezza.
È importante, fondamentale oserei dire, in un’opera come questa concedersi dei momenti per leggere le descrizioni, osservare l’ambiente circostante, speculare e darsi delle risposte, senza una guida o imposizioni da parte dell’autore. Tutto ciò senza escludere l’esperienza ludica e di gameplay, altrettanto importante; il giocatore deve accettare la responsabilità che il Game Director gli affida nell’affrontare entrambe le facce della medaglia, poiché questo è il solo modo di godere appieno dell’esperienza a fondamenta dell’opera.
“Un mondo ben costruito potrebbe raccontare la sua storia in silenzio”
Hidetaka Miyazaki
Forse in pochi sanno che questo espediente narrativo, oggi quasi un mantra tra gli appassionati, sia in realtà nato da una necessità oggettiva, un’esigenza sapientemente sfruttata. From Software al tempo portava con sé grandi idee e ambizioni ma, come spesso accade, anche un budget limitato. Rinunciare a costosi filmati in computer grafica – i famosi “spiegoni” gettati in pasto al videogiocatore – divenne di fatto un’artificio per contenere i costi di produzione. Mai decisione si rivelò più azzeccata: perché mostrare a schermo un concetto quando è possibile scomporlo e disseminarlo ovunque nel mondo di gioco, negli oggetti, nei dialoghi, praticamente in ogni elemento di game design? Lasciare al giocatore la ricerca della verità e, laddove la stessa sia impenetrabile o addirittura inesistente, invogliarlo a riempire i buchi narrativi con ipotesi e supposizioni, alimentando discussioni nelle community online. Il contenimento dei costi divenne, di fatto, un incentivo all’esplorazione senza precedenti. Il piacere della scoperta, la vera anima dei Souls.
“Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga poi scoperto”
Italo Calvino
Citazione che Miyazaki sembra prendere piuttosto alla lettera. Nei Souls tutto comunica qualcosa, persino il silenzio, fedele accompagnatore durante il solitario peregrinare, una lunghissima avventura nel corso della quale il giocatore entra in contatto con concetti sospesi a metà tra il filosofico e il concreto, come luce e oscurità, vita e morte. Verrà sempre da chiedersi cosa sono i Non Morti o le Fiamme Sopite, della fine dei Draghi Eterni o del misterioso primogenito di Lord Gwyn, ma la risposta sarà sospesa chissà dove, sparsa nel vasto universo di gioco, senza che nessuno venga mai a svelarlo a chi sta giocando.
Dettagli diretti, ma anche una miriade di dettagli indiretti, perle nascoste il più delle volte sconosciute ai più, ma che una volta scoperte regalano soddisfazioni uniche. Parliamo della colonna sonora ad esempio, che accompagna solenne e consapevole le boss-fight più memorabili; ecco dunque che affrontando Artorias, il Camminatore dell’Abisso, una musica triste e cupa ci accompagna durante tutto il combattimento: solo chi avrà riunito i pezzi nel modo corretto riuscirà a comprendere il perché, mentre per tutti gli altri sarà semplicemente una durissima battaglia. Penso anche alla melodia struggente e bellissima che incalza lo scontro con Gehrman “The First Hunter” in Bloodborne, erede sprituale diretto e primo della saga Souls; una boss-fight unica nella sua drammaticità, restituita splendidamente da una colonna sonora immediatamente riconoscibile e ricca di significato.

Altri dettagli silenziosi li troviamo nelle architetture del mondo: come non citare Anor Londo, in cui è tangibile la sacralità di ciò che si staglia di fronte ai nostri occhi, si intuisce forte la presenza di qualcosa che ha a che fare con la religione, con il divino. La cattedrale in stile gotico è contornata da effigi che rappresentano il primo Lord, Gwyn il signore dei Tizzoni. Da lui e dal suo sacrificio nacque il culto del vincolo, che permise alla Prima Fiamma di non spegnersi, evitando così che il mondo fosse divorato dall’oscurità. Dettagli mai comunicati direttamente al giocatore, eppure in bella vista per un occhio attento. Nei Souls la lore è ovunque, alla portata di chiunque abbia la giusta sensibilità di coglierne l’essenza e il significato.
Ho introdotto Bloodborne, potrei citare Sekiro: Shadow Die Twice o dedicare un intera elegia a Elden Ring – e forse un giorno lo farò – è chiaro come la saga dei Souls abbia ispirato negli anni una serie di titoli di grande successo, un terreno di gioco in cui anche altre software house hanno provato a cimentarsi, ammaliate dal fascino della scoperta e da un diverso modo di concepire l’esperienza videoludica, non necessariamente progettata per prendere per mano il videogiocatore. Si tratta di titoli che sono stati poi racchiusi sotto il termine Soulslike, portando così alla nascita di un nuovo genere videoludico, dalle caratteristiche uniche e immediatamente riconoscibili.
Chiaramente, essendo in molti casi estremamente longeva e complessa da scoprire, la lore è inevitabilmente fautrice di infinite discussioni all’interno delle community, andando a creare un bellissimo ed unico ambiente di speculazione, confronto e intuizioni, con il fine ultimo di riuscire a comprendere qualcosa che è stato inserito volutamente celato dagli autori all’interno della narrazione.
La lore rappresenta al giorno d’oggi un qualcosa di fondamentale che rende, non solo i soulslike, ma ogni titolo di ogni saga degno di essere giocato ed esplorato fino ai suoi anfratti più remoti, e che permette all’industria videoludica di continuare ad evolversi nel raccontare universi di storie sempre più belle, dettagliate e in grado di unire nel modo più accomodante e piacevole giocatori da ogni parte del mondo.
Non è dunque la storia, né l’ambientazione; non sono le tradizioni, i culti e il folklore del mondo di gioco. Non è il racconto di epiche gesta del passato né delle piccole azioni che plasmano le fondamenta del presente, influenzando gli eventi futuri. È in ogni dettaglio eppure evanescente, palese e al tempo stesso celata, tangibile eppure inafferrabile. Singolarmente non è nulla di tutto ciò eppure ne è sintesi perfetta.
Parliamo di lore, la vera essenza dei Souls.